
L’arte emana un potentissimo campo di energia magnetica capace di catturare, favorendo il passaggio da un mondo conosciuto ad un mondo sconosciuto ovvero da un mondo difficile da abbandonare ad un mondo impossibile da conquistare.
Questo è il magico potere della bellezza, che conduce all’estasi (ékstasis, eksístēmi “sono fuori di me”) affidandosi alla seduzione (se-ducĕre “condurre a sé”), quindi si tratta di un condurre a sé in senso positivo, perché nel contempo induce a portare fuori da sé, fuori dal mondo della quotidianità, dell’interesse, dell’abitudine per intraprendere l’avventura in un mondo altro.
Considerazioni che possono in parte spiegare perché gli investimenti nell’arte ottengono comunque successo, non soltanto per l’appagamento del gusto e per il contributo immateriale allo sviluppo sociale e culturale.
Le iniziative e le manifestazioni in questo settore producono effetti positivi anche per gli aspetti finanziari, ad esempio quelli legati al possesso di opere d’arte.
Una forma di appagamento non esente da rischi, perché collezionare è un’attività diretta, solo talvolta intermediata da operatori, e necessita di molte competenze affinché sia possibile evitare i falsi (nel 2018 i Carabinieri della Tutela Patrimonio Culturale hanno sequestrato 1.232 falsi, di cui 953 nell’ambito del moderno e contemporaneo).
Inoltre, occorre prestare la massima attenzione alla manipolazione dei prezzi dell’arte verso l’alto, poiché dietro potrebbero nascondersi il riciclaggio di denaro ed i trasferimenti di valuta in Paesi fiscalmente più vantaggiosi.
L’arte insomma non è mai solo quello che ci appare e per comprare un capolavoro o comunque l’opera di un grande autore servono molte informazioni, per la cui ricerca si scatena una caccia al fine di ottenere quella privilegiata capace di fare la differenza.
Una gara dove vi sono concorrenti che appartengono al mondo della finanza, quindi ecco che molti istituti di credito nazionali e internazionali offrono consulenza, talvolta gratuita, sull’arte, perché riconosciuta come assetto alternativo utile alla diversificazione del patrimonio.
Inoltre, si deve tenere in debito conto anche l’impatto economico prodotto a beneficio di una città, di un luogo, di un territorio: gli investimenti in cultura e spettacolo, oltre ad offrire il piacevole ed il bello, stimolano l’economia e creano ricchezza.
Ogni euro speso nella gestione di un evento culturale genera effetti economici positivi e diffusi per oltre 2,5 euro (vedi ricerca “Investire in cultura” realizzata da Rsm-Makno nel 2019 per Impresa Cultura Italia-Confcommercio).
Che l’arte, definita “soft power” (potere morbido), sia ben integrata nella scena economica e politica nell’evidenza di mostre e mercato dedicato, è questione assodata.
Permane tuttavia il dilemma su che cosa sia esattamente, l’arte.
Nel latino i termini Ars, Artis indicano le abilità nel progettare o costruire qualcosa, nel concetto ampio dato dagli antichi Romani di attività svolta con particolare abilità, distinguendo tra arti meccaniche e pratiche e arti liberali ovvero quelle letterarie e scientifiche.
Mentre il XIII Secolo volgeva al termine, l’emergente lingua italiana indicò come Arte l’attività umana regolata da procedimenti tecnici e fondata sullo studio e sull’esperienza, tant’è che permane l’uso di “fatto a regola d’arte” per segnalare un lavoro tecnicamente ben eseguito.
L’estensione del significato ancor oggi abbraccia quello di attività consistente nella creazione prodotti di cultura oggetto di reazioni del gusto e del giudizio.
Nell’arte tutte le cose sono belle e perciò dilettevoli e l’architetto Andrea Palladio (Andrea di Pietro della Gondola, 1508– 1580), consegnò al Rinascimento un’interpretazione della Bellezza basata sull’armonia e la proporzione tra le parti ed il tutto: “La bellezza risulterà dalla bella forma e dalla corrispondenza del tutto alle parti, delle parti tra loro e di quelle al tutto”.
Anche secondo il comune sentire contemporaneo una cosa è giudicata bella se è ben proporzionata.
Un’affermazione che peraltro appare parziale e inadeguata, tant’è che movimenti artistici e culturali successivi fra cui il Barocco, il Romanticismo, l’Arte contemporanea hanno dimostrato come la Bellezza possa esistere anche nella bruttezza, nel male e nel disarmonico.
Non si tratta di opposizione di concetti, perché se nell’armonia ha buon gioco l’emozione estetica, anche la disarmonia e la dissonanza possono produrre le emozioni della bellezza, purché siano il risultato della ricerca di nuove forme di armonia che riscattano la bruttezza e il male, senza nasconderli, rimuoverli o negarli, bensì trasformandoli.
L’armonia dei contrari è un concetto antico e consiste nell’opposizione che sussiste fra pari e dispari, limite e illimitato, unico e molteplice, destra e sinistra, maschile e femminile, eccetera.
La grandezza dell’arte sta nella capacità di produrre la sintesi tra due opposti.
Sul concetto di arte sussiste un dibattito infinito su cui si sono espressi moltissimi voci del pensiero, che vale le pena riportare in estrema sintesi i pensieri di alcuni fra i molti:
Per il glottologo e linguista Giacomo Devoto (1897–1974) ed il lessicografo Gian Carlo Oli (1834–1996), autori del noto dizionario, “l’Arte é qualsiasi forma di attività dell’uomo come riprova o esaltazione del suo talento inventivo e della sua capacità espressiva”.
Per il filosofo Platone (428a.C.-347a.C.) l’Arte “non disvela ma vela il vero”, essendo immaginazione e non forma di conoscenza e per questo non migliora l’uomo perché stimola la parte emotiva ed i sentimenti a scapito della parte razionale; l’artista è pericoloso a meno che non si ponga al servizio del vero sforzandosi di veicolare il vero in figurazioni che inducano alla virtù.
Per il critico d’arte Arthur Coleman Danto (1924-2013) “vedere qualcosa come arte richiede qualcosa che l’occhio non può cogliere – un’atmosfera di teoria artistica, una conoscenza della storia dell’arte: un mondo dell’arte”; le opere d’arte hanno la proprietà di essere a-proposito-di qualcosa, per questo possono avere un titolo che ne orienta l’interpretazione, e sono rappresentazioni causate intenzionalmente da un essere umano e proprio per questo richiedono una interpretazione, fortemente legata alla struttura ellittica dell’opera, completata dal fruitore (metafora dell’opera d’arte); in un certo tempo un’opera può essere a-proposito-di qualcosa, ma in un altro contesto no, quindi hanno a che fare con la storia, e con la storia dell’arte in particolar modo, tenendo in debito conto il concetto di stile, separato da quello di maniera, per marcare una distinzione tra un’opera d’arte e altre rappresentazioni comuni, considerando importante anche il modo in cui una rappresentazione viene realizzata, e non solamente perché esiste.
Per il filosofo Benedetto Croce (1866-1952) l’Arte è intuizione ed espressione, “rappresentazione della realtà” quale forma specifica e autonoma di conoscenza di ciò che è meramente possibile nell’intenzione di riconnettere i fatti estetici e artistici alla totalità della vita dello spirito; “Un paesaggio appartiene all’arte: perché no uno schizzo topografico?”; le opere d’arte sono dunque “immagini interiori” che esistono soltanto “nelle anime che le creano o le ricreano”; si nega ogni senso artistico tanto alla tecnica artistica quanto alla componente materiale dell’opera, essendo di qualcosa di estrinseco, di derivato: il fatto estetico si esaurisce tutto nell’elaborazione espressiva delle impressioni, “Quando abbiamo conquistato la parola interna, concepita netta e viva una figura o una statua (…) l’espressione è nata ed è completa: non ha bisogno d’altro (…) l’opera d’arte (l’opera estetica) è sempre interna; e quella che si chiama esterna non è più opera d’arte”.
Comunque sia, l’arte è una popolare opportunità di investimento alternativa e fonte di libera espressione di idee, concetti, desideri in grado di creare ricchezza non soltanto in termini economici a lungo termine, grazie alla sua capacità di dar vita al buono ed al bello.
Perciò gli eventi culturali sono strategici, con ricadute positive concrete ed immediate per il ritorno di immagine che incrementa la reputazione delle aziende e delle istituzioni, meglio e con maggior accortezza rispetto alla semplice pubblicità.
Le forme di sostegno all’arte ed alla cultura producono sempre un impatto economico sui territori, con benefica mescolanza fra ritorni immateriali ed effetti economici, che può essere amplificata passando dalla sola contribuzione a sostegno delle spese alla compartecipazione all’offerta di servizi adeguati o addirittura alla co-organizzazione di eventi e manifestazioni.
Il valore dell’arte non lo fa il prezzo, come si potrebbe a pensare, bensì la sua collocazione nella storia e soprattutto nel presente di chi la osserva, in quanto bene collettivo e identitario meritevole di tutela e valorizzazione.
Difficile misurare il valore dell’arte, come pure definire un modello di valutazione, ma si è osservata la sua grande capacità di reagire alle crisi economiche, anche se il mercato dell’arte è per sua natura liquido, con livelli di rischio difficili da monitorare, alimentato da informazioni privilegiate o fasulle e conflitti d’interesse, talvolta mosso da una cerchia ristretta di persone.
Quindi il suo valore è determinato da vari fattori quali sono l’autore, il periodo storico dell’opera, la sua unicità, il soggetto, le dimensioni, lo stato di conservazione, le eventuali attribuzioni nei casi controversi, la provenienza, le pubblicazioni e le critica, senza dimenticare la certificazione museale e quegli elementi esterni fortemente variabili come la piazza d’offerta, la velocità di scambio, le modalità di vendita, la regolamentazione fiscale, il diritto alla circolazione, il gusto del momento, la liquidità sui mercati finanziari…
Tuttavia l’arte contemporanea e le sue istituzioni possono talvolta entrare in contrasto con un pubblico che non le ritiene capaci di condividere i valori ampi della cultura popolare, generando scetticismo oppure rifiuto.
Risposte non gradite all’artista, ma pur sempre legittime e ragionevoli, specialmente quando l’opera è troppo dipendente da spiegazioni verbali in forma di discorso teorico.
Il ruolo dello spettatore come partecipante ai fatti dell’arte emerge con forza tra gli anni Sessanta e Settanta in quanto conseguenza del processo di coinvolgimento attuato dalle istituzioni museali, forti della capacità di poter glorificare ogni opera elevandola dalla cronaca alla Storia.
Un passaggio che richiede una sorta di intervallo sacrale, un vuoto che solamente attuando un percorso liturgico è possibile superare favorendo la comprensione ovvero aggirando l’ostacolo mediante la creazione di miti.
L’opera non deve più essere confinata in luoghi deputati regolati da modalità convenzionali, ma può spaziare su nuovi terreni favorendo l’incontro con lo spettatore al fine di attuare una condivisione con l’artista, il quale opera con il linguaggio specifico dell’arte tentando di ribaltare ogni frammento in progetto di trasformazione della realtà.
Così si assottiglia, fino a scomparire, la distinzione tra autore e fruitore.
Ciascuno di loro contribuisce ad alimentare un processo in cui viene esibita la maggior forza con cui le istituzioni propongono opere contemporanee, perché capaci di catalizzare l’attenzione.
L’arte come modello di comportamento alternativo, talvolta partecipato.
Una partecipazione estetica come vera e propria esperienza corporea che precede quella intellettuale, che genera divorzi oppure sostanziale indifferenza verso l’opera a causa dello sforzo teso ad intercettare la grande varietà dei possibili destinatari a cui ci si vuol rivolgere.
L’arte o un artista hanno davvero bisogno di uno spettatore?
Spettatore e artista si affrontano e si confrontano da posizioni diverse in una relazione convenzionale in cui al ruolo passivo del primo ne corrisponde uno attivo dell’altro, avviato attraverso un atto creativo originato da un’idea che progredisce, si materializza, si offre alla visione o addirittura alla contemplazione.
Un artista senza pubblico è ancora un’artista?
Lo spettatore, obiettivo della creazione artistica potrebbe essere indotto a ritenersi destinatario pressoché esclusivo dell’opera d’arte ed alcuni dipinti, sculture, installazioni possono provocare veri e propri shock emotivi, capaci di attrarre un osservatore al punto di indurlo a desiderare di toccarle, di stringerle a sé, di salirci sopra, di sfidare ogni convenzione correndo rischi sempre più audaci.
Il furto e per certi aspetti anche la rapina di opere d’arte, potrebbero apparire come un puro atto di immaginazione, poiché il ladro d’arte vive in una sorta di universo parallelo che lo elettrizza e gli fa considerare “a portata di mano” le immagini da cui è affascinato.
Una tendenza subdola che maschera un’intelligenza malsana del ladro specializzato in opere d’arte, malvivente assai diverso da quello che arraffa qualunque oggetto prezioso per trasformarlo in denaro a breve.
Una sorta di innamoramento fra spettatore ed opera d’arte, assimilabile a quello fra esseri umani, tant’è che i bollettini del Nucleo Tutela Patrimonio culturale dei Carabinieri in cui sono elencate le opere d’arte trafugate, vengono intitolati “Arte in Ostaggio”.
Infatti, la presentazione precisa che “Quanto trafugato non viene considerato perduto, ma solamente tenuto in ostaggio da chi svolge o si avvale di un’attività criminosa, che può essere validamente contrastata attraverso la consultazione di queste pubblicazioni, (…) anche e soprattutto da parte degli addetti ai lavori, dei mercanti d’arte, degli antiquari e di tutti i cittadini”.
Il dramma si consuma con la distruzione dell’opera d’arte, che può essere perpetrato anche da alcuni artisti per la loro concezione dell’arte, quale sommatoria di distruzioni in opposizione netta al pensiero di Pablo Picasso (1881-1973), per il quale l’arte è sommatoria di addizioni.
Sarebbe interessante avviare una valutazione psicologica su atti vandalici, iconoclastie e iconofobie moderne (non sono assimilabili) e sulle loro motivazioni: di origine politica, come gesto di protesta, come frutto di azioni scellerate compiute da persone con disturbi mentali…
Anche per interrogarsi sulla storia delle distruzioni delle opere d’arte, intesa come “distruzione dell’arte” ovvero come ”arte della distruzione”, avendo come appendice le opere a tempo, con una scadenza, che si autodistruggono, che proclamano il diritto all’eutanasia.
Quello sull’arte è dunque un discorso infinito, che offre innumerevoli spunti tanto per la critica quanto per le narrazioni, essendo l’opera d’arte immersa in un eterno presente inteso quale tempo che si fa spazio dentro di noi per condensazioni e libere associazioni.
Giova concludere queste poche righe di spunti sul tema, con una riflessione consegnata a tutti noi a suo tempo dal bibliotecario, storico dell’arte e archeologo Johann Joachim Winckelmann (1717-1768) “La generale e principale caratteristica dei capolavori greci è una nobile semplicità e una quieta grandezza, sia nella posizione che nell’espressione. Come la profondità del mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l’espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un’anima grande e posata” (Pensieri sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura).